1987: il crollo ha ancora qualcosa da insegnarci

Pubblicato il: 24/10/20 7:20 PM

33 anni, nulla si muove

Non tutti sanno che il crollo del lunedì nero del 19 ottobre 1987 ebbe il suo primo epicentro ad Hong Kong. Fu la Borsa di tale Paese la prima a crollare.

E il panico fu tanto che il governo invitò la popolazione alla calma.

In Europa, gli indici crollarono in sequenza rispetto a quelli orientali. Milano ebbe un ribasso del 6%.

Così, quando aprirono i mercati americani, l’aria che tirava non era buona. E il Dow Jones crollò del 22% circa. Un botto epocale, che ricordava in modo sinistro il 1929.

Molto si è discusso di come i computer siano stati i principali responsabili di quel crollo: i computer infatti erano in uso da poco tempo e la loro reazione di vendita alla rottura dei primi supporti e di tutti quelli successivi avrebbe moltiplicato le vendite.

Questo è senz’altro avvenuto ed ha amplificato il fenomeno. Ma i computer non erano certo la causa del crollo. Era uno dei tanti modi comodi che si usano in finanza per evitare di dire tutta la verità.

La settimana precedente al crollo, la Germania aveva istituito una imposta del 10 percento sui propri titoli di stato. Questo aveva generato una naturale reazione del mercato che aveva adeguato i tassi di interesse al rialzo. Fra l’altro, detto solo per inciso, in quel periodo anche l’Italia aveva innalzato i tassi di interesse sui titoli di stato a causa dell’aumento della ritenuta fiscale dal 6.25 al 12%.

C’era quindi un clima di rialzo dei tassi in Europa, di necessità di remunerare meglio il risparmio e gli investitori, per l’insorgere della voracità degli Stati.

Gli Stati Uniti avevano un forte deficit commerciale (come hanno sempre avuto e continuano ad avere) e i dati mensili erano stati pubblicati nella settimana precedente, confermando un andamento molto negativo.

A causa di questo, gli Stati Uniti avevano bisogno, come sempre e come ora, di finanziare il proprio debito e di essere competitivi con i tassi europei. Cioè di farsi preferire rispetto alla Germania e, all’epoca, addirittura rispetto al Giappone.

Era “appena” il 1987 …  ma il mondo si chiese: quanto può durare? La necessità degli Stati Uniti di tenere un dollaro basso e di attirare capitali per finanziare il debito, una bilancia commerciale di fatto ingovernabile, per l’abitudine a consumare più di quanto si produce.

E così, di colpo, gli Stati Uniti diventarono poco credibili agli occhi degli investitori. E la borsa crollò. L’impreparazione all’uso dei computer fece il resto: l’amplificazione del fenomeno fu devastante.

All’epoca non era di moda l’iniezione di liquidità per sostenere i titoli di borsa, il sistema bancario era ben diverso da quello odierno. In quel circolo vizioso saremmo entrati soltanto negli anni 2000 e soprattutto dopo il 2008.

I dollari venivano stampati a raffica, producevano un po’ di inflazione sul mercato interno, e andavano in massa verso l’estero, rendendo l’inflazione controllabile rispetto all’enorme volume di moneta prodotta. La svalutazione del dollaro faceva il resto.

Finché arrivò il break even e l’altolà da parte degli investitori. In quell’orrendo lunedì nero di 33 anni fa.

È cambiato il mondo da allora? Sì. Nel frattempo il capitalismo occidentale ha trovato un modo per suicidarsi nel lungo termine, a poco a poco, includendo la Cina nel club dei Paesi con cui fare affari.  

Sono cambiati alcuni dei parametri che rende squilibrata la finanza mondiale? a partire dalla bilancia commerciale degli Stati Uniti e dalla sua necessità strutturale di essere il debitore principale del globo? No.

Finché investitori e risparmiatori continueranno ad avere fiducia, a credere che gli interventi di Santa FED e di Beata BCE funzioneranno, quale è il problema?

Come nel 1987: il problema è quando non ci si crederà più.

Maurizio Monti

Editore

La Mela Deliziosa